Carmela Corsitto, mette in moto la realtà, oltre il suo essere fisico, nel suo 'oltre' ironico, nell'oltranza presente nella coscienza. Questo avviene attraverso l'invasione dello spazio, come la messa in atto di un'esigenza'sociale' dell’opera, in cui essa vive in una pressante terza dimensione; come se essa operasse, abitando lo spazio, una pressione relazionale nei confronti del fruitore.
Nelle opere di Carmela Corsitto la realtà oggettuale e colta nella sua fissità e, contemporaneamente, essa causa nel fruitore flusso mentale. La realtà appare insieme stato e fissità, flusso, attenzione e aspettativa. Dobbiamo pensare che attraverso la rappresentazione delle cose noi tastiamo il nostro stato di salute. Naturalmente, in questo modo ciò che ci circonda lo documenta. E'certamente lo stato di salute della soggettività ad apparirci oggi precario e non valgono per Corsitto le ricette consolatorie a base di pappette new age.
Corsitto coglie la realtà in modo da liberare senso, ovvero cogliere, estrarre, esprimere (ovvero rendere diffuso, comune), e in questa diffusione di senso coglie la realtà nella sua oggettualità la trasforma e la fa apparire attraverso mediazioni; per-cepita,quindi anche trans-formata, posseduta ,attraverso un'idea che della realtà si produce l’interpretazione della realtà come produzione di una idea come forma-tramite).
Giungiamo allora a dire che la realtà e nelle mediazioni con cui la afferro e la desidero: la realtà possiede/riceve il volto che io mi attendo. Allora ne confeziono un'immagine impietosa o rassicurante, leziosa o cruda, a seconda dello scambio
relazionale che instauro; tuttavia la confezione rientra nel lifting, non nella poetica, anche se il nostro non e il tempo delle poetiche; il nostro tempo e invece quelle delle trasformazioni; un tempo in cui addirittura le cose hanno preso vita e anche ci dominano. II tempo del sopravvento delle cose! Senza moralismi, dobbiamo ammettere che se le cose ci possiedono, anche ci raccontano; in quanto esseri comunicanti, ci relazioniamo anche attraverso oggetti ed essi ci significano. Ricordate il 'dono'? Quanto tempo e passato da quanto noi non creiamo un dono per l'altro? L'arte e anche questo dono, ma e anche la denuncia che abbiamo dimenticato la sapienza del donare, ovvero di comunicare, se comunicare ha lo stesso senso di con-dividere, di rendere comune qualcosa ed in modo gratuito; per cui 'co-munità' - dove e proprio il munus, il dono, il protagonista, questo bene a cui tutti hanno diritto. Ebbene ecco la denuncia di una mancata munificenza nel nostro tempo che rende il mondo e la realtà mortali e mortificati, ed essi vanno rappresentati attraverso un aspetto di mummificazione.
Carmela Corsitto trasforma oggetti e operazioni quotidiane in situazioni che risuonano di un sentire profondo, e mette in moto quella forza critica con cui l'arte dovrebbe svelare e porgere una comprensione del mondo che dall'essere rimanda ad un futuro dover essere non ancora compiuto, di cui si attende. È forse quì il caso di parlare con Benjamin di quelle esperienze in cui la profondità va trovata nella superficie. II cucchiaio e la sua mummificazione rimandano allo spermatozoo ed al sarcofago. La concia mummiesca che ricopre l'oggetto rimanda ad una iconologia della morte; di una morte curata, contenuta, elaborata, pulita dalle purulenze; in attesa di emigrare in altro, quella dimensione cui rimanda la simbologia della luce, sotto la quale la realtà attende apparire col suo vero volto.
La Sicilia mediterranea esprime qui, assieme alle altre culture 'di mezzo' - come la Mesopotamia o il Mesoamerica, la sua profonda confidenza con la morte e il suo mistero. Nella sua vitalità prorompente e solare, custodisce il segreto delle mutazioni che già abbiamo trovato in Empedocle di Agrigento; vive il degrado, attende il disfacimento e lo elabora culturalmente nell'attesa che produca 'altro'. A volte capita che cerchi di padroneggiare nell'arte quello che per lei e difficile produrre e raggiungere nella vita civile; ma anche l'arte non può mentire, permette la denuncia delle impurità, il loro venir fuori, farsi cosciente pubblica confessione ed espiazione.
Questi oggetti non giungono a registrare uno spegnimento di vitalità. Sembrano coagulare un vissuto in atto; questi cucchiai sono 'morticati' nell'atto di muoversi, appaiono sospesi in una poetica dell'attesa, come se l'intima vitalità dell'oggetto sia prosciugata nell'atto dell'esprimersi e non giunga all'obiettivo. Quante valenze in questi cucchiai! Spermatozoi, vitalità, veicolo e contenitore di nutrimento, oggetto di memoria quotidiana: il cibo, la vita, la convivialità, la festa, la famiglia, la condivisione, la socialità.
Lo stato fossile in cui questi cucchiai sono ridotti, ricordano l'oltre della vita non come aldilà, ma come aldiquà; la luce indica forse l'attesa di una storia in cui la realtà ritorni al suo volto dinamico e solare; in essi riconosciamo le icone della vita offesa. Essa attende redenzione: va trovato l'attore.
Comunicare l’Attesa, Associazione culturale Ecforici a, Siracusa
Communicating the waiting (1999)
Carmela Corsitto sets reality in motion, beyond its physical being, in its ironic ‘beyond’, in the bitter end present in consciousness. This occurs through a space invasion, as a performance of the work ‘social’ need that lives in a oppressing third dimension, as if it, living in space, made a relational pressing on the watcher.
In Corsitto’s works objective reality is caught in its fixity but at the same time it causes a mental flow in the watcher. Reality appears to be at the same time fixity, flowing, attention, expectation. We must think that through the representation of things we put to the test our health state. This way, of course, what is all around us documents it. Surely it is the subjectivity health state to look precarious today, and it does not make sense at all for Corsitto any comforting new age recipe.
Corsitto catches reality setting sense free, that is picking up, taking out, expressing, and doing so she catches reality in objects, she turns it into something else and makes it appear through mediation, perceived, transformed, possessed through an idea of reality (interpretation of reality as production of an idea as shape-means).
So we can say that reality lies in the mediation by which I grab it and long for it: reality owns/receives the face I expect. Then I make a pitiless or reassuring, a delicate or harsh image out of it, depending on the relational exchange I establish. Yet the making is about restoring and not about poetics, even though our time is not poetics time. Ours is a time of transformations, a time in which things have a life of their own and dominate us. Things own us and tell about us. What about the ‘gift’? When was it the last time we created a gift for someone else? Art is this gift, but it is also the statement that we forgot about being able to give a gift, that is to communicate, if communicating means sharing and giving for free. Well, here is the statement of lack of giving in our time making world and reality mortal and mortified, and that is why they are represented in a mummified appearance.
Corsitto turns daily objects and actions in situations resounding a deep feeling and sets in motion that critical energy by which art should reveal and offer a comprehension of the world that from being sends us to a future having to be which is not accomplished yet. Maybe this is right one of those cases Benjamin would define experiences whose depth we can find on the surface. Spoon and its mummification makes us think of spermatozoid and sarcophagus. The mummified look of the object makes us think of the image of death. A death taking care of itself, an elaborated, clean death waiting to migrate elsewhere, in that dimension light symbolism sends us to, under which reality waits to appear with its true face.
Mediterranean Sicily expresses here, as well as Mesopotamia or Mesoamerica, its deep confidence with death and its mystery. In its sunny spectacular vitality saves the secret of transformation we found in Empedocles from Agrigento: it lives in decay and waits for destruction elaborating it culturally, waiting for it to turn into something else. Sometimes it happens to have control in art of what it has no control at all in social life. But art cannot lie, it lets impurities come out, it becomes public confession and expiation.
These objects do not switch off vitality. They seem to coagulate a living in motion. These spoons are ‘mortified’ in the act of moving, they look like they are suspended in a waiting poetics. How many things these spoons make us think of! Spermatozoids, vitality, means and container of nourishment, object of daily memory: food, life, celebration, family, sharing, socializing.
The fossil state these spoons are in reminds us of life ‘beyond’, not as hereafter but as here now: perhaps light means the waiting of a story in which reality goes back to its sunny and dynamic face. It waits for redemption, we must find the actor.
traduzione di Angelica Greco
Carmela Corsitto opera quella dura apertura d'orizzonte che si realizza attraverso la costrizione a un ripensamento della realtà. E' questa l'esperienza che genera un'opera d'arte “riuscita”. E' come se l'opera operasse una “pressione relazionale” nei confronti del fruitore. Spaesamento è il primo risultato: rimessa in discussione di ciò che ci circonda.
Nelle opere di Carmela Corsitto la realtà oggettuale è colta nella sua fissità ma in modo che essa genera nel fruitore spaesamento e ripensamento, attraverso le risorse che lo stesso fruitore possiede. Corsitto coglie la realtà nel suo irrigidimento fisico ed esistenziale. In questo modo libera 'senso', ovvero coglie, estrae, esprime (nel senso di rendere diffuso, comune, spinto fuori da), e in questa diffusione di senso coglie la realtà nella sua oggettualità, la trasforma e la fa apparire attraverso mediazioni; per-cepita, presa attraverso, quindi anche trans-formata, posseduta attraverso un'idea che della realtà si produce (afferramento della realtà attraverso la produzione di una idea, come forma – tramite che ci si mette davanti).
Un cucchiaio diventa così altro da ciò che avevamo previsto: non più testimone quotidiano di acquietanti atmosfere domestiche, legate al cibo ed alla soddisfazione conviviale. Diventa protagonista di un estremo pensiero glaciale: di quando gli oggetti possono parlarci della fine e del destino di mutazione a cui siamo esposti qualora un evento spiazzante, legato all'oblio della nostra essenza, come l'esplosione atomica, o la desertificazione – entrambi esempi di esiti mummificanti – si manifestino in tutta la loro forza nientificante.
Sull'onda delle emergenze socio-culturali, due decenni fa, avremmo definito queste opere come “post-atomiche”, era infatti il tempo della corsa al riarmo missilistico; oggi esse ci ricordano che la possibilità di eventi esiziali non è scomparsa dall'orizzonte delle possibilità minacciose che incombono sul nostro pianeta. Proprio perché siamo nel pericolo di dimenticare la nostra essenza di persone, rischiando di confonderci con le cose: esito ancora estremo del nichilismo contemporaneo, secondo cui niente ha senso se non stabilito dal meccanismo dell'utile. Il vero utilitarismo è l'antiutilitarismo; recita così un testo di A. Caillé (Critica della ragione utilitaristica - Bollati Borighieri, 1991) che ci sentiamo di additare alla vostra attenzione. Il tempo del sopravvento delle cose! Senza moralismi, dobbiamo ammettere che se le cose ci possiedono, anche ci raccontano; in quanto esseri comunicanti, ci relazioniamo anche attraverso oggetti ed essi ci significano. Ricordate il 'dono'? Quanto tempo è passato da quando non creiamo un dono per l'altro? L'arte è anche questo dono, ma è anche la denuncia che abbiamo dimenticato la sapienza del donare, ovvero di comunicare, se comunicare ha lo stesso senso di con-dividere, di rendere co-mune qualcosa ed in modo gratuito; per cui 'co-munità' - dove è proprio il munus, il dono, protagonista: questo bene a cui tutti hanno diritto. Ebbene ecco la denuncia di una mancata munificenza nel nostro tempo che rende il mondo e la realtà mortali e mortificati, ed essi vanno rappresentati attraverso un aspetto di mummificazione.
Carmela Corsitto trasforma oggetti che risuonano di operazioni quotidiane in situazioni che rimandano, anzi costringono, al sentire profondo. Essa mette in moto quella forza critica con cui l'arte dovrebbe svelare e porgere una comprensione del mondo che dall'essere rimanda ad un futuro dover essere non ancora compiuto. E' forse qui il caso di parlare con W. Benjamin di quelle esperienze in cui la profondità va trovata nella superficie. Il cucchiaio, la sua mummificazione rimandano allo spermatozoo ed al sarcofago. La concia mummiesca che ricopre l'oggetto in queste opere rimanda ad una iconologia della morte; di una morte curata, contenuta, elaborata, pulita dalle purulenze; in attesa di emigrare in altro. Questi oggetti non giungono a registrare uno spegnimento di vitalità. Sembrano coagulare un vissuto in atto; questi cucchiai sono "mortificati" nell'atto di muoversi, appaiono gelati e come sospesi in una poetica dell'attesa; come se l'intima vitalità dell'oggetto sia prosciugata nell'atto dell'esprimersi e non giunga all'obiettivo. Quante valenze in questi cucchiai ed in queste bende! Veicoli e contenitori di nutrimento, oggetti di memoria quotidiana: il cibo, la vita, la convivialità, la festa, gli amici, la famiglia, la condivisione, la socialità.
Lo stato fossile in cui questi cucchiai sono ridotti, ricordano l'oltre della vita non come aldilà, ma come aldiquà; la luce - che Corsitto installa in alcune opere dal maggiore carattere monumentale - indica forse l'attesa di una storia in cui la realtà ritorni al suo volto dinamico e solare; ma in questi cucchiai riconosciamo le icone della vita offesa.